En-pathos: come suonare la batteria in metropolitana
Conoscevo un tizio che, alla fine di ogni mese, andava a depositare dei soldi su un conto bancario segreto. Dopo una ventina d’anni, una mattina andò all’università in cui lavorava come docente, tenne regolarmente le sue lezioni e, nel tardo pomeriggio, prese l’auto dal parcheggio per tornare a casa.
Una deviazione dal suo percorso abituale lo portò a guidare per una strada secondaria che costeggia il lago fino a quando, giunto al km 42, fermò l’auto accostando sul ciglio della strada. Aprì il portabagagli e tirò fuori un borsone con dentro abiti appena acquistati, una cartellina con dei documenti e frutta fresca conservata in un sacchetto di carta.
La sua auto fu ritrovata dalla polizia dopo 18 giorni di incessanti ricerche: ogni speranza di ritrovare l’uomo in salute fu vanificata da quella Chevrolet sommersa in fondo al lago, con il parabrezza distrutto e numerosi oggetti risaliti a galla, quasi a volerne segnalare la posizione.
Sono passati 4 anni e, a partire da quel giorno, ho avuto modo di osservare molte cose. Oggi, ad esempio, sono al tavolino di un bar in pieno centro dove, con la scusa di un cornetto alla crema e un caffè lungo, fisso con indifferenza un uomo seduto due posti avanti a me.
Mmmh… Si, è proprio un buon caffè.
E’ la seconda volta che vengo in questa zona: sei settimane fa optai per il ristorante italiano che si trova poco più avanti, di fronte ad un’agenzia finanziaria in cui lavora una segretaria proprio carina. Se l’avessi conosciuta 30 anni fa, che cosa non avrei fatto a quella bionda… Davvero carina ed elegante, specialmente quando si veste di nero.
Per ogni posto in cui vai trovi la gente adatta a quel luogo. Non è un fatto oggettivo, non esiste alcuna legge scientifica: forse sono tutti lì per caso, forse è il luogo che stavano cercando o forse è proprio il posto in cui meritano di essere. Col passare del tempo, dopo mesi trascorsi ad osservare le persone, tutti i gesti e i comportamenti che inizialmente sembravano casuali cominciano ad assumere un significato ben preciso. Niente è più illogico o disordinato e ciascuno può essere decifrato e interpretato in base a ciò che mangia, come cammina, cosa indossa…
L’inevitabile conseguenza è quella di classificare le persone. Infilare ogni passante in una categoria dopo una fugace occhiata per strada può sembrare riduttivo e qualche volta lo è davvero, ma quelle sono le eccezioni. Nella maggior parte dei casi invece – e non che sia una bella cosa – le persone che si incontrano non sono uniche come amano considerarsi, ma tutte simili tra loro sia per l’aspetto esteriore che per la personalità.
Quando il mio nuovo amico è venuto a sedersi poco distante dal mio tavolino, io sapevo di conoscerlo già, non perchè l’avessi incontrato prima bensì per tutti gli omini uguali a lui che scorgo ogni giorno. Talmente uguali nella loro sterilità che ad un certo punto diventa quasi difficile distinguere i loro volti inespressivi: un abito scadente e stirato male come miglior tentativo di eleganza, pausa pranzo alla tavola calda con un tramezzino al prosciutto e una coca dietetica sorseggiata manco fosse un Merlot, alla cassa rigorosamente con pezzi da 5 o monete e poi di corsa ad amalgamarsi con la massa che attraversa al verde del semaforo.
Sto scrutando un uomo da quindici minuti e tra un pò saprò dirvi anche il suo nome; nel frattempo vi anticipo che non è certo il tipo da pranzare in un ristorante italiano, se non per guardare il culo di una bionda che lavora nei paraggi. Se 15 anni fa non avesse rinunciato per pigrizia all’appuntamento con una ragazza, probabilmente oggi avrebbe una moglie, un paio di amici più intimi del cassiere e qualcuno ad aspettarlo a casa.
Lui purtroppo se ne renderà conto fra altri 15 anni, quando la società per cui lavora effettuerà dei tagli al personale, dando precedenza ai giovani laureati. A quel punto, se avrà conservato un minimo di pensiero libero incondizionato, non gli resterà che uccidere il suo capo con un fermacarte e lanciarsi nel vuoto dal tredicesimo piano. In caso contrario, come temo sia probabile, trascorrerà i giorni che mancano alla sua morte restando seduto sul divano a guardare la tv, nostalgico dei pranzi veloci davanti a quella tavola calda.
Per chi, come me, ha fatto dell’osservazione la sua ultima e unica ragione di vita, bastano pochi mesi per ritrovarsi a vivere in un limbo fatto di contraddizioni ai confini di questo mondo: guardare dall’esterno tante vite che scorrono parallele e qualche volta si intersecano mi ha portato a sviluppare una spiccata comprensione per alcune e, allo stesso tempo, la più fredda e cinica insensibilità per altre.
Vivo di empatia allo stato puro.
Volete sapere chi sono? Semplicemente un vecchio che non trascura cosa gli succede attorno, uno che vede oltre a guardare: potete chiamarmi Dr. Wooz.
Intanto un’altra giornata volge al termine e io aspetto che la metropolitana mi riporti a casa. Di fronte a me, oltre i binari, un ragazzo suona la batteria ma si muove leggermente fuori tempo. Dal modo in cui le altre persone gli puntano gli occhi addosso, deduco di essere l’unico ad ammirarlo. La sua vita scorre su questo pianeta parallela a tutte le altre e oggi ha incrociato me, ma il treno è appena arrivato e la mia essenza sfuma dolcemente.
Tranquilli, non è un addio.