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Dimissioni, Perché tante persone stanno dando le dimissioni e altre non trovano lavoro

Content Starts Perché tante persone stanno dando le dimissioni e altre non trovano lavoro?

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Avete mai sentito parlare di “Great resignation”? Significa “Grandi dimissioni” ed è un fenomeno globale che sta portando milioni di persone ad abbandonare il lavoro. I numeri ufficiali ci dicono che negli Stati Uniti circa 20 milioni di persone hanno dato le dimissioni a partire dalla primavera 2021. Anche in Italia, dove la popolazione è di molto minore, il dato è significativo. Il Ministero del Lavoro ha reso noto che ci sono state circa 485mila dimissioni tra aprile e giugno di questo anno, ovvero l’85% in più rispetto al 2020.

Nelle scorse settimane ho chiesto al DeRev Lab, l’osservatorio sul digitale della mia azienda, di dare un’occhiata a come fosse andato l’argomento sul web e sui social e sono rimasto stupito quando ci siamo accorti che un evento sociologicamente così rilevante sia passato, tutto sommato, sotto silenzio.

Di dimissioni, in Italia, si parla ciclicamente e senza particolari exploit. Recentemente c’è stato un lieve aumento degli articoli giornalistici proprio legati al tema della Great resignation, ma il numero delle interazioni registrate sui social da questi articoli, mai sopra alle 8000 e più spesso intorno alle 500, ci dice che l’opinione pubblica non è ancora stata interessata, collettivamente, dalla riflessione su questo fenomeno. Se si studiano le query di ricerca su Google, si scopre che al primo posto tra le cose più cercate è “come si danno le dimissioni” o “quale sia il preavviso”. Non stupisce: sappiamo che in 485mila hanno lasciato il lavoro in soli 3 mesi, chissà quanti altri ci hanno pensato.

Se di questa tendenza si parla ancora poco, succede al contrario per altri due fenomeni: da un lato quello dei giovani laureati che non riescono a trovare un lavoro o a fare carriera, dall’altro quello di datori di lavoro che, puntualmente, lanciano l’allarme e denunciano la carenza di manodopera. Quante volte vi è capitato di leggere di un imprenditore che promette stipendi stellari ma dichiara di non trovare nessuno disposto ad accettare il lavoro? In moltissimi casi, si tratta di situazione che poi vengono smentite dai giornalisti. Molte inchieste arrivano a scoprire che in realtà quegli stipendi non sono affatto reali e che la situazione da un punto di vista contrattuale non è così idilliaca. Esiste però un problema reale di mismatch, ovvero di mancato incontro tra domanda e offerta di lavoro. È generato per lo più dalla tipologia delle posizioni vacanti.

Soprattutto in fasi di ripresa economica come questa, i settori che crescono maggiormente sono di tipo manufatturiero e meno di servizi. Parliamo della produzione di beni che necessita di manodopera, sia semplice che specializzata, ma anche di figure di tipo tecnico e scientifico. Qui i problemi che si incontrano sono di tipo culturale e investono anche il sistema dell’istruzione, perché sempre meno ragazzi scelgono una formazione tecnica e sempre meno persone sono disposte ad impegnarsi in un’attività faticosa per una remunerazione che oggi, ad esempio, si discosta molto poco dal Reddito di cittadinanza. I sussidi dello Stato, infatti, sono additati come un ulteriore ostacolo e staremo a vedere se le recenti modifiche introdotte dal Governo, con la previsione di decurtare il reddito di cittadinanza a chi rifiuta tre offerte di lavoro, riusciranno a risolvere il problema. Certo, dovremmo far funzionare a dovere i centri per l’impiego, ma questa è un’altra storia.

Come si vede, la questione è molto complessa e ci sono centinaia di sociologi nel mondo che stanno cercando di spiegare cosa sia succedendo. Certo è che negli ultimi 5 anni abbiamo assistito all’ascesa di un nuovo concetto nella sensibilità delle persone, che sta scombinando le carte e anche i meccanismi economici: sto parlando del Benessere. Una volta, le grandi battaglie sindacali erano limitate alle condizioni di lavoro oggettive: sicurezza dei luoghi, eliminazione di disparità sulla base di fattori come razza, genere e orientamento politico e, soprattutto, stipendio. Oggi non più così. Secondo l’ultimo rapporto Salary Satisfation dell’Osservatorio Job Pricing, tra i motivi per i quali rimaniamo fedeli ad un’azienda la busta paga è all’ultimo posto. Premiamo, invece, le relazioni personali, l’ambiente di lavoro e l’equilibrio tra l’attività professionale e la vita privata. Vogliamo stare bene da tutti i punti di vista, anche da quello emotivo e mentale che è un’integrazione del concetto di salute anch’essa figlia degli ultimi anni.

Vi ho detto che le conversazioni social e le ricerche e gli articoli web sulle dimissioni non hanno registrato macroscopiche variazioni in questo 2021. Però non vi ho ancora detto che, secondo le nostre analisi, la regione che ha mostrato la tendenza più elevata alle dimissioni da lavoro a tempo indeterminato è la Lombardia. Certamente è anche una di quelle con il tasso di occupazione più elevato, ma non dimentichiamoci anche di quanto la Lombardia, Milano in testa, sia conosciuta come territorio di lavoro matto e disperatissimo, ad alta competitività, e molto stressante. È una sorta di cartina tornasole della crescente necessità di trovare a lavoro tempi, ritmi e dinamiche di qualità.

Personalmente, ho sempre creduto che un collaboratore scontento sia un costo e non un investimento vantaggioso per l’azienda. Per questo, cerco sempre di mettere i miei dipendenti in condizioni di comfort, che non significa tenerli al riparo dalle sfide più complesse ma metterli in condizione di affrontarle con serenità. A partire dall’ambiente di lavoro e dall’atmosfera che si respira in ufficio, dalla flessibilità nel venire incontro alle esigenze personali di ciascuno, dalla libertà di confrontarsi con i propri superiori in qualsiasi momento ed essere coinvolti nelle decisioni strategiche. Solo in questo modo – a maggior ragione nelle aziende in cui creatività, passione e dedizione fanno la differenza – le persone riescono a dare il meglio di sé e a generare un vero valore aggiunto.

Forse questa grande ondata di dimissioni porterà molti altri imprenditori e dirigenti d’azienda a riflettere sul mondo del lavoro che abbiamo costruito e, ad un certo punto, li porterà a rivedere la relazione con i propri dipendenti. Perché di questo si tratta, e gli ultimi 20 anni ci hanno chiaramente confermato che nessun grande brand di successo può essere costruito sulla base di relazioni disfunzionali. Oggi ce lo sta urlando letteralmente tutto il mondo.

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