Smartworking ai tempi del Coronavirus
Non mi piace lo smartworking. Eppure da quando sono adolescente ho sempre lavorato da solo, chiuso nella penombra della mia camera da letto, con la musica al massimo per isolarmi dal mondo intero. In quei momenti ho avuto le idee migliori, quelle che in un modo o nell’altro mi hanno cambiato la vita. Oggi, le idee più creative, geniali o importanti dal punto di vista strategico mi vengono di notte, quando posso lavorarci da solo e teletrasportarmi in un mio mondo senza telefonate, voci o notifiche.
Nonostante questo, non mi piace lo smartworking. Perché se avessi continuato a lavorare da solo, di notte nella mia camera da letto, oggi di mestiere probabilmente farei l’influencer o sarei solo uno spin doctor. Invece ho scelto di fare l’imprenditore, ovvero di cercare le persone più creative, competenti ed efficienti sulla piazza e mettere insieme un team per creare un’azienda. Poi due. Quest’anno la terza. Perché se vuoi fare le cose in grande e diventare grande, allora lo devi fare insieme. Insieme a persone diverse da te, che ragionano e la pensano in un altro modo, che hanno intuizioni a cui non avevi pensato, competenze che non hai acquisito, esperienze che non hai vissuto.
Si chiama brainstorming. Seduti allo stesso tavolo, tutti i giorni, dove ognuno lancia un’idea o dà il suo contributo per migliorare, cambiare o smontare le idee degli altri. Per poi realizzarle insieme. Certo, puoi farlo anche in chat o al telefono, ma non sarà mai come farlo guardandosi negli occhi. Negli anni ho avuto modo di misurarlo attraverso la mia sensibilità da imprenditore, e successivamente i numeri mi hanno confermato quanto lavorare insieme incida sulla produttività e dunque sui risultati.
Non è sempre così. Questo vale nel nostro caso, ma cambia in base alle aziende e ai ruoli delle persone. Ci sono alcune mansioni che non richiedono un confronto continuo né la necessità di lavorare insieme sullo stesso progetto, per cui si può tranquillamente lavorare da remoto. In tanti casi, anzi, farlo comodamente da casa permette di concentrarsi di più e fare ancora meglio. E poi con mille software, chat, slack, skype, telegram, monday e drive non ci sono proprio scuse, tanto che li usiamo per scambiarci le cose anche quando siamo a due metri in ufficio.
Dunque il mio non è un pensiero assoluto, ma una riflessione nata da un confronto con Vincenzo e legata al fatto che oggi ho disposto la possibilità di lavorare in smartworking per tutti i dipendenti di DeRev che non se la sentono di prendere treni, autobus e metropolitane per recarsi in azienda Milano. Non perché lavorare da casa aumenterà la qualità del nostro lavoro, e soprattutto non perché sia di moda o sinonimo di innovazione.
L’ho fatto per precauzione: se non è strettamente necessario, in questi giorni possiamo evitare di andarcene in giro per uffici, treni affollati e altri luoghi frequentati da gente che arriva da tutte le città, regioni e nazioni del mondo. È un gesto di responsabilità individuale che, a fronte di qualche limitazione insignificante, può avere una grande incidenza nell’arginare il contagio e bloccare la diffusione del Coronavirus. E poi perché la qualità del lavoro è data anche dalla serenità delle persone che lo svolgono, per cui oggi evitiamo timori e preoccupazioni inutili per fare cose straordinarie anche più del solito, per noi e per i nostri clienti.
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